1.
(…) Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal.
Mia madre diceva che quel bagnoschiuma idrata la pelle ma io uso Vidal e voglio che in casa tutti usino Vidal.
Perché ricordo che fin da piccolo la pubblicità del bagnoschiuma Vidal mi piaceva molto.
Stavo a letto e guardavo correre quel cavallo.
Quel cavallo era la Libertà.
Volevo che tutti fossero liberi.
Volevo che tutti comprassero Vidal.
Poi un giorno mio padre disse che all’Esselunga c’era il tre per due e avremmo dovuto approfittarne. Non credevo che includesse anche il bagnoschiuma.
La mia famiglia non mi ha mai capito.
Da allora mi sono sempre comperato il bagnoschiuma Vidal da solo, e non me ne è mai importato nulla che in casa ci fossero tre confezioni di Pure & Vegetal alla calendula da far fuori.
Anzi quando entravo nel bagno e vedevo appoggiata al bidè una di quelle squallide bottiglie di plastica non potevo fare a meno di esprimere tutta la mia rabbia, rifiutandomi di cenare con loro.
Non tutto può essere comunicato.
Provatevi voi a essere colpiti negli ideali. Per delle questioni di prezzo, poi. Stavo zitto.
Mangiavo in camera mia, patatine e tegolini del Mulino, non volevo più nemmeno vedere i miei amici: fingevo di non esserci, quando mi chiamavano al telefono.
Giorno dopo giorno mi accorgevo di quanto mia madre fosse brutta.
Avevo una madre che non avrebbe mai potuto candidarsi in politica, con le vene varicose e le dita ingiallite dalle sigarette.
Mia madre mi faceva schifo e mi chiedevo come era possibile che da bambino la amassi.
Mio padre diventava sempre più vecchio anche lui.
Era davvero arrivato il momento di ammazzarli.
Una sera uscii dalla mia camera e dissi loro che avevo deciso di eliminarli.
Mi guardarono con i loro occhi da vecchi e, stupiti forse dal fatto che gli rivolgessi la parola, mi chiesero perché.
Dissi che dovevano cambiare bagnoschiuma, almeno.
Si misero a ridere.
Allora salii in camera e presi la lattina di pomodori pelati che mi ero nascosto sotto il letto per mangiarmeli di notte.
Tornai in cucina e chiusi la porta a chiave.
Urlai a mia madre che era una schifezza di persona e che si sarebbe dovuta fare asportare l’utero prima di concepirmi.
Mio padre si alzò di scatto cercando di darmi una sberla ma io gli tirai un tale calcio nei testicoli che cadde a terra senza respirare.
Mia madre si avventò piangendo su di lui, urlando cose sconnesse che la rendevano ancora più vecchia e ridicola. Le affondai il coperchio di latta tagliente sul collo, uscivano litri di sangue mentre gridava come un maiale.
Poi ammazzai mio padre con il coltello dei surgelati. (…)
(Aldo Nove, Superwoobinda, Einaudi, 1998)
2.
Accoltella il padre dopo un litigio per la Playstation
Padre e figlio giocano al calcio con la «Playstation 2». Poi, discutono. Litigano. E il figlio colpisce il padre alla gola con un coltello lungo 40 centimetri. Solo l’intervento chirurgico d’urgenza alle Molinette ha salvato Fabrizio, 46 anni, che ha rischiato di morire per mano del figlio Mario (il nome è di fantasia), 16 anni compiuti da pochi giorni. Il giovane è stato arrestato dagli agenti della «Squadra Volante», dopo aver consultato il pm della procura per i minori di Torino. Il padre è ancora ricoverato in ospedale. I medici si sono riservati la prognosi, una precauzione dopo il delicato intervento di tracheotomia, un foro nella laringe (potrebbe diventare permanente) per facilitare la respirazione.
E’ stato proprio il giovane a ricostruire la vicenda, negli uffici della polizia. Con lui c’era la madre Monica, 48 anni. «Erano quasi le 13. Giocavo con mio padre a “Fifa 2009”, un gioco di calcio per la “Playstation”. Ma lui continuava a insistere sulle regole», ha raccontato il giovane. Già, le regole. Il padre vuole imporle, il figlio si ribella: «La “Playstation” è mia e faccio come mi pare». Il tono di voce cresce, in un attimo il ragazzo passa agli insulti. Il padre si spazientisce. Per affermare il proprio ruolo decide di interrompere il gioco in modo brusco: sfila dal retro della tv il cavo di collegamento con la console.
Schermo buio, Mario si alza di scatto e va in cucina. Apre un cassetto, prende il coltello da salumi (lungo 40 centimetri, almeno 23 di lama), torna in salotto e colpisce il padre alla gola. Un taglio lungo 10 centimetri, profondo, orizzontale, sotto l’osso ioide, arriva a recidere l’epiglottide. Poi, Mario torna in cucina, lava il coltello sotto l’acqua nel lavello e lo appoggia sullo scolapiatti.
In cucina c’è la madre del ragazzo. Prepara il pranzo. «Non ho fatto caso a mio figlio», ha spiegato alla polizia. L’ha visto prendere il coltello, ha visto che si dirigeva verso il salotto, ma non ha collegato quel gesto con la lite di pochi attimi prima. Intuisce qualcosa quando Mario torna a lavare il coltello. Corre in salotto, il marito le viene incontro, i vestiti pieni di sangue e la mano destra premuta contro la gola squarciata. Prende il telefono, chiama il «118». Mario si è rintanato in camera, ha chiuso la porta, ma senza usare la chiave. Dalla centrale del soccorso medico la telefonata rimbalza alla sala operativa della polizia. L’ambulanza arriva in pochi minuti. La corsa in ospedale, l’intervento d’urgenza. A metà pomeriggio i medici avvisano la polizia: «E’ salvo».
In quel momento, gli agenti sono impegnati a raccogliere le dichiarazioni del figlio. Parla in presenza della madre. Entrambi sono calmi. Gli investigatori non riescono a capire come una discussione tra padre e figlio per un videogioco possa trasformarsi in tragedia. Scampata solo per la rapidità di intervento dei medici. Pochi minuti di ritardo avrebbero trasformato Mario in un assassino. Per questo, il magistrato ha concordato con i poliziotti l’arresto del giovane. Il fatto è grave. Serviva un freno. Per distinguere la realtà dalla finzione. E per far riflettere un ragazzino sulle conseguenze delle proprie azioni. Questa volta, non basterà premere un pulsante per cancellare una brutta avventura.
(www.lastampa.it, 25 gennaio 2010)